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PMI del Sud: costruire nuovi modelli di welfare

Quando parliamo di nuovi modelli di welfare, l’immaginario va quasi automaticamente alle grandi aziende; si pensa che le PMI facciano fatica ad attivare strumenti di welfare aziendale non solo per questioni economiche ma anche per ragioni organizzative. Eppure i vantaggi sono tanti, non solo per i dipendenti ma anche per le aziende stesse, e il welfare aziendale dovrebbe essere valorizzato maggiormente come leva strategica di gestione delle risorse umane per le imprese, anche piccole e medie.

Un' indagine promossa da Welfare Index PMI per l’anno 2016 prende a campione più di 2000 aziende tra i 10 e i 250 dipendenti di tutti i settori produttivi e rivela che, avendo a riferimento 10 macro aree di welfare aziendale, più del 64% delle imprese è impegnata in almeno un settore individuato e il 45% in almeno 4 su 10. Gli ambiti più diffusi sono la formazione e il sostegno alla mobilità (64%), e le assicurazioni per dipendenti e famiglie (53%), mentre i meno diffusi sono l’integrazione sociale (14%) e la conciliazione vita lavoro (5%). Dal punto di vista della diffusione si segnalano marcate differenze tra il Nord e il Sud del paese (tuttavia si rilevano due significative eccezioni, con una maggiore iniziativa delle imprese meridionali nelle aree della sicurezza e prevenzione degli incidenti e delle pari opportunità e sostegno ai genitori) e una crescente presenza di attività di welfare proporzionale al numero dei dipendenti.

Secondo tali dati, il settore delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno, caratterizzato da un tessuto poco sviluppato (sia da un punto di vista economico che occupazionale) appare meno permeabile alla nuova cultura di welfare che, seppur sostenuta dal legislatore attraverso le agevolazioni fiscali introdotte e poi riconformate dalla Legge di Stabilità, stenta a riconoscersi in quei vantaggi (quali, ad esempio, il miglioramento del clima lavorativo in azienda, il ridimensionamento del turn over, l’incremento della qualità del lavoro) che sono considerati marginali in questo tipo di realtà.

Maggiori sforzi si richiedono dunque per rendere attuale una politica di welfare anche nelle realtà che ancora faticano, per motivi economici e strutturali (ma anche comunicativi ed organizzativi) ad accogliere i nuovi modelli. E’ auspicabile che si potenzino quelle misure in grado di essere attrattive anche per le piccole imprese del sud, quali ad esempio l’erogazione di servizi socio-assistenziali, assicurativi e sanitari per i dipendenti e per le loro famiglie; in termini di capacità organizzativa che si attuino modelli che consentano una sostenibilità (in termini di costi) quali ad esempio la formazione di reti-gruppi d’imprese sul territorio che consentano di ottenere servizi condivisi di welfare a prezzi ridotti rispetto ad azioni realizzati singolarmente.

Per far sì che ciò accada, tutti i corpi intermedi, e in particolare le associazioni di categoria e i sindacati, sono chiamati ad intervenire attivamente. Sono loro a dover interpretare, nell’esercizio del ruolo di rappresentanza, i nuovi modelli di welfare in grado di garantire quelle tutele e quei diritti nei confronti dei soggetti le cui condizioni ne impediscono, sic stantibus rebus, una piena attuazione.

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