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CIFA - Il nuovo ruolo della contrattazione collettiva

La CIFA, Confederazione Italiana Federazioni Autonome, ritiene necessario promuovere un nuovo e moderno modello di relazioni industriali nel quale la contrattazione collettiva svolga un ruolo centrale nell'assecondare le esigenze di maggiore produttività e flessibilità delle imprese e
ponga contestuale attenzione alle politiche retributive.
Su quest'ultimo aspetto appare urgente aprire il dibattito sull'enorme differenza di potere di acquisto dei salari fra le differenti aree produttive e geografiche del paese. In ragione di ciò appare opportuna l'ipotesi, attualmente discussa, di un superamento della rigidità della contrattazione
collettiva nazionale in favore di una contrattazione di tipo decentrato su base territoriale o aziendale.
La suddetta rigidità della contrattazione collettiva nazionale che fissa livelli di salario nominale uguali su tutto il territorio italiano prescindendo dalla produttività aziendale e dal costo della vita, produce disuguaglianze più che uniformità.
Una recentissima ricerca (“Divari territoriali e contrattazione; quando l'eguale diventa diseguale”) condotta da Andrea Ichino, economista all'istituto universitario europeo di Firenze,Tito Boeri, presidente dell'Inps ed economista della Bocconi e Enrico Moretti, economista di Berkley,
conferma tale posizione.
Basti pensare alla differenza di potere d'acquisto tra il Sud e il Nord, dove il costo della vita è mediamente del 16% superiore a quello delle regioni meridionali ed il divario sul costo delle abitazioni sale al 36%. Ne consegue che un lavoratore di Milano, pur avendo un salario nominale
uguale ad un lavoratore siciliano, in termini reali percepisce una remunerazione molto inferiore.
Tale disuguaglianza, inoltre, non giova a nessuno, non al Nord dove i lavoratori si ritrovano ad avere un potere d'acquisto quasi dimezzato rispetto ai colleghi meridionali, non al Sud perché salari troppo alti rispetto alle capacità produttive delle aziende determinano alti tassi di
disoccupazione e lavoro irregolare e fanno sì che la domanda di lavoro sia più alta al Nord che al Sud.
Al contrario, consentire che i salari siano determinati localmente, a livello territoriale o aziendale, poterebbe ad un aumento dell'occupazione al Sud e ad una riduzione del lavoro sommerso che, nel complesso ammonta, nel 2013, a 206 miliardi di euro, pari al 12,9% del Pil e
delle imposte evase.
Una maggiore equità reale tra i lavoratori passa attraverso una maggiore flessibilità degli standard retributivi. In tale ottica sarebbe auspicabile che il contratto aziendale possa sempre più derogare il contratto nazionale, per poter meglio adattare gli standard retributivi e le tutele dei
lavoratori alle condizioni economiche del territorio nel quale l'azienda opera e in base alle caratteristiche dell'azienda stessa, incentivando al contempo i lavoratori verso un aumento della produttività.
L'esempio tedesco ci dimostra come le suddette distorsioni dovute all'uguaglianza nominale dei salari possano essere risolte attraverso il decentramento della contrattazione. In Germania, infatti, a partire dalla metà degli anni 90 vennero previste delle “clausole di apertura”, in virtù delle quali le imprese hanno potuto deviare dal contratto nazionale, consentendo ai salari nominali di differenziarsi su base locale. Il risultato di questa politica di flessibilità furono salari, tassi di occupazione e produttività più uniformi.
Favorire il decentramento della contrattazione collettiva ricade nella consapevolezza che un collegamento più stretto, veloce ed immediato tra retribuzione e produttività del lavoro costituisce di per sé un incentivo all'aumento della produttività stessa e l'aumento della produttività è a sua
volta condizione necessaria per un aumento delle retribuzioni, dell'occupazione e della domanda di beni e servizi, favorendo il progresso e lo sviluppo soprattutto del meridione.


Area Relazioni Industriali

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